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Apparecchi a pressione: i calcoli, la progettazione, il software.

Tanti anni fa, quando, fresco di laurea, cominciai ad occuparmi della progettazione di apparecchi a pressione, la normativa del settore era estremamente più ristretta di adesso. In Italia vigeva allora la Proposta di Nuova Regolamentazione del 1953: un libretto di poche pagine che si limitava a qualche stringata formuletta per calcolare fasciami cilindrici e fondi bombati; flange, piastre tubiere di scambiatori di calore, carichi sulle selle non venivano neppure menzionati. Esistevano, è vero, le norme americane: ASME sezione VIII e TEMA, che fornivano qualche formula per calcolare anche questi componenti: ma se si confronta il numero di pagine che hanno oggi le edizioni attuali di quelle stesse norme (revisionate e corrette innumerevoli volte) col numero di pagine che avevano allora, è facile rendersi conto che quello che viene richiesto oggi in termini di calcolo è estremamente di più di quello che veniva richiesto alla fine degli anni ’60, quando il regolo calcolatore era l’unica attrezzatura disponibile per redigere il rapporto di calcolo di un apparecchio.

Da allora, le norme hanno quindi subito un progressivo accrescimento e una progressiva complicazione, che d’altro canto è stata fortunatamente accompagnata da un notevole progresso nei mezzi tecnici a disposizione dei progettisti: se nei primi anni 70 i giganteschi elaboratori elettronici erano inavvicinabili a causa del loro costo, dall’altro cominciarono a comparire sul mercato i primi personal computers, i cui supporti di memoria si andarono progressivamente evolvendo dalle schedine magnetiche usate all’inizio, ai floppy discs, per poi arrivare ai dischi rigidi, e oggi, alle cosiddette “memorie flash”, che raggruppano nello spazio di un francobollo una quantità di dati che, negli anni 70, avrebbero richiesto supporti magnetici occupanti decine di metri cubi; e tutto ciò mentre nascevano e si evolvevano linguaggi di programmazione sempre più performanti.
Negli anni ’70 cominciarono ad essere usati per gli apparecchi a pressione anche i calcoli ad elementi finiti: nasceva così il “Design by Analysis”, costosissimo all’inizio a causa della necessità di adoperare grandi elaboratori con enormi tempi di elaborazione, ma che oggi, grazie anche alla computergrafica, cioè alla possibilità di disegnare sullo schermo di un PC modelli tridimensionali complessi, è  alla portata di qualunque laptop (anche se, probabilmente, non di qualunque tecnico).

Del resto questa progressiva complicazione dei calcoli non è priva di una logica giustificazione: quella di diminuire sempre più gli spessori e quindi i pesi utilizzati onde diminuire i costi degli apparecchi.
Ma a questo punto la domanda che è logico porsi è la seguente: è sufficiente complicare il calcolo di un qualsiasi componente di un apparecchio a pressione (una flangia, una piastra tubiera, il rinforzo di un bocchello) per avere la garanzia di una diminuzione dei costi?
Alcune esperienze, anche relativamente recenti e ancora sotto gli occhi di tutti, dimostrano che in qualche caso la complicazione delle norme di calcolo, anziché portare ad una riduzione dei pesi, ha portato ad un loro aumento: il caso più noto, a chi si occupa di progettazione di scambiatori di calore, è quello delle piastre tubiere di apparecchi a piastre fisse secondo le norme americane, da quando le ASME Sezione VIII hanno rimpiazzato le più antiche norme TEMA, le prime ad occuparsi di tali membrature; tuttavia la pretesa delle norme ASME di andare a considerare nel progetto sia le sollecitazioni termiche che quelle sulle membrature connesse alla piastra tubiera (tubi, cassa, mantello), porta spesso ad un surdimensionamento degli spessori di piastra rispetto ai precedenti calcoli TEMA (con aumento quindi sia del costo del materiale che dei tempi di foratura): aumento dovuto non tanto alla necessità di dare alla piastra tubiera la necessaria stabilità, quanto piuttosto a quella di limitare, nelle membrature adiacenti, quelle sollecitazioni generalmente note come “secondarie” proprio perché non nascono dalla necessità di garantire un equilibrio, ma piuttosto da quella di evitare nelle suddette membrature delle plasticizzazioni localizzate che in realtà, in un materiale sufficientemente duttile, sono perfettamente tollerabili, a meno che non ci si trovi in presenza di sollecitazioni ripetute ciclicamente.

Purtroppo non sempre chi lavora alla preparazione delle norme si rende conto di questi problemi, proprio perché la loro complicazione lo rende estremamente difficile, a meno che non si prepari anche un software specifico, che permetta il confronto tra le proposte di nuove regole e le soluzioni tecniche precedenti: cosa che non è quasi mai possibile a quel livello, data la limitatezza dei mezzi di cui gli esperti normalmente dispongono; per cui i problemi si rivelano solo molto più tardi, quando cioè le norme sono state ormai approvate (cosa che avviene quasi sempre automaticamente, dato che chi ha poi il compito di approvarle non ha quasi mai la possibilità di verificarne le conseguenze pratiche, per cui finisce per fidarsi ciecamente del parere degli esperti che le hanno preparate) e cominciano ad essere notate dagli utenti, con l’impiego dei software che a questo punto le società specializzate si sono affrettate a mettere sul mercato per garantire, a chi possiede già una licenza d’uso, l’aggiornamento alle nuove richieste delle norme.
Questa situazione rende quanto mai necessaria la presenza, da un lato, di un feedback tra chi utilizza le norme e gli esperti che le preparano, e dall’altra l’esistenza, non solo nei rapporti di calcolo ma nelle stesse procedure utilizzate dal software per arrivare a tali rapporti, di una serie di informazioni che permettano all’utente dello stesso (cioè al progettista dell’apparecchio) di comprendere quali sono i meccanismi che generano un aumento degli spessori al di là dei limiti della logica, indicando, se possibile, come fare per evitarlo; non solo, ma, in tutti i casi ove questo è possibile, deve essere il software stesso a guidare il progettista verso la scelta della soluzione ottimale, ossia del dimensionamento più economico possibile pur nel rispetto dei vincoli imposti dal codice di calcolo.

Oggi è di vitale importanza che queste esigenze siano correttamente comprese non solo da chi progetta, ma anche da chi adopera (e paga) gli apparecchi: il software non deve essere uno strumento per preparare rapporti di calcolo che siano graditi dall’authorized inspector o al notified body di turno, che spesso raccomandano, anche in maniera piuttosto categorica, l’utilizzo dei software più conosciuti sul mercato, per il solo fatto che quei software sono quelli  adoperati nella loro agenzia ispettiva, e dei quali quindi essi si fidano ciecamente; tali software sono spesso concepiti nella maniera più consona per chi verifica, e quindi parte da un disegno già contenente il dimensionamento completo dell’apparecchio. Il software più adatto sia per chi costruisce sia per chi paga l’apparecchio deve essere invece orientato alla progettazione, deve cioè permettere di arrivare non ad un dimensionamento qualsiasi che rispetti le norme, ma al dimensionamento più economico nel rispetto delle norme adoperando il minor numero possibile di ore del tecnico progettista, dato che anche quelle ore, non meno delle ore uomo spese in officina, fanno parte della catena produttiva che determina il costo di un apparecchio.

D’altro canto l’avvento della direttiva PED, che impone al costruttore l’obbligo di progettare il suo apparecchio in tutte le condizioni normali e/o eccezionali ragionevolmente prevedibili (progetto, esercizio, prova, trasporto, montaggio, manutenzione), ha reso necessario che i software degli apparecchi a pressione non si limitino alle sole verifiche previste dalle norme, ma anche a tutte quelle verifiche rese necessarie dall’obbligo di cui sopra: se pertanto non esiste nella norma la procedura per il calcolo, ad esempio, delle selle di supporto di un serbatoio (normalmente i codici considerano soltanto le sollecitazioni che la sella trasmette al fasciame), dovrà essere il software stesso a proporre un metodo basato, ove possibile, sulla letteratura esistente in modo che il progettista abbia a disposizione uno strumento completo che gli consenta di garantire la conformità alla direttiva.

In altre parole, la conformità alle norme non deve essere la sola caratteristica che si richiede ad un software per la progettazione di apparecchi a pressione.

                                                                                                                                                                             Fernando Lidonnici