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Quale futuro per i nuovi metodi di calcolo delle flange?

Circa 50 anni fa, quando i principali codici di calcolo di apparecchiature in pressione erano fatti solo di poche pagine, e l’unico strumento di calcolo nelle mani del povero progettista era il regolo calcolatore, il metodo Taylor Forge sembrava una procedura estremamente avanzata e sofisticata per il calcolo delle flange, i componenti più complicati degli apparecchi e degli scambiatori di calore. Il metodo appare basato su un sano e attendibile modello matematico: vengono stabiliti infatti i due requisiti essenziali per ottenere la tenuta della guarnizione di un giunto flangiato; il primo è quello di comprimere la guarnizione (fatta di un materiale relativamente tenero rispetto a quello delle sedi) nella fase di assemblaggio iniziale del giunto fino al punto di causarne la plasticizzazione al contatto con le sedi; in tal modo è infatti possibile riempire i microscopici solchi provocati dalla lavorazione meccanica, chiudendo così tutte le possibili vie di fuga del fluido verso l’esterno della guarnizione. Il secondo requisito è quello di assicurare durante l’esercizio una pressione di contatto sulla guarnizione convenientemente più elevata della pressione interna, in modo tale da impedire il distacco della guarnizione dalle sedi. Per soddisfare questi due requisiti, il metodo prevede, per tutti i principali tipi di guarnizione, due fattori: una pressione minima di contatto y (MPa o psi) sulla superficie della guarnizione, da realizzare  al momento del primo serraggio del giunto; e un fattore moltiplicativo adimensionale m da applicare alla pressione interna, in modo tale da garantire durante l’esercizio una compressione m volte maggiore della pressione interna.

E’ interessante notare che questi due requisiti (sufficiente compressione iniziale della guarnizione e sufficiente pressione residua sulla guarnizione in esercizio) sono ancora alla base di tutti i più moderni e sofisticati metodi per il calcolo degli accoppiamenti flangiati. Tuttavia la determinazione di questi due fattori e la conseguente determinazione dei carichi di serraggio effettivi non è per nulla un esercizio facile, se consideriamo i punti che seguono.

  1. Allo scopo di calcolare i carichi, i fattori y ed m devono essere applicati alla effettiva superficie di contatto tra la guarnizione e le sedi, superficie che è determinata dalle diverse deformazioni di tutti i componenti dell’accoppiamento flangiato, a partire dal serraggio iniziale dei bulloni, per arrivare, passando attraverso le condizioni di prova idrostatica, alle normali condizioni di esercizio.
  2. I fattori y ed m sono certamente dipendenti non solo dalle caratteristiche del materiale della guarnizione (che possono variare al variare dei fabbricanti, anche per guarnizioni dello stesso tipo), ma anche dalla rugosità superficiale delle sedi.
  3. Essi sono inoltre dipendenti dalla natura e dalle caratteristiche del fluido interno: considerando che nel caso di gas e vapori un riempimento totale di tutte le microscopiche vie di fuga esistenti tra la guarnizione e le sedi è virtualmente impossibile, qualunque sia il grado di plasticizzazione del materiale della guarnizione, è chiaro che una tenuta perfetta in presenza di fluidi allo stato gassoso non sarà mai praticamente realizzabile, neppure con valori elevatissimi dei fattori y ed m. Di conseguenza la tenuta delle guarnizioni in presenza di questi fluidi può essere valutata solo sulla base di una “classe di tenuta”, vale a dire, sulla base di una perdita accettabile, ovviamente adoperando valori di y ed m tanto più elevati quanto più bassa sarà la perdita che si ritiene accettabile. Al contrario una tenuta perfetta dei liquidi, grazie alle loro elevate caratteristiche di viscosità e tensione superficiale, può ancora essere considerato un obiettivo raggiungibile, naturalmente con l’uso dei valori appropriati dei fattori y ed m (inferiori a quelli da usare nel caso dei fluidi gassosi).

E’ comunque necessario considerare delle tolleranze sui valori teorici dei carichi applicati ai bulloni, particolarmente se questi vengono stretti applicando agli stessi una coppia per mezzo di una chiave di qualunque tipo: infatti con l’uso di chiavi, anche di quelle in cui è possibile controllare la coppia di serraggio, il carico effettivo indotto sui bulloni sia pure da un ben determinato valore della coppia è fortemente dipendente dai coefficienti di attrito: da un lato quello tra il dado è la faccia della flangia, dall’altro quello tra il dado è la filettatura del bullone.

Nel metodo Taylor Forge queste considerazioni sono in parte trascurate e in parte tenute in conto con delle approssimazioni non sempre del tutto corrette. Ad esempio, la variazione del carico dei bulloni conseguente alle deformazioni subite dai vari componenti dell’accoppiamento flangiato nel passaggio dalla condizione di serraggio iniziale alla successiva condizione di esercizio, non viene considerata: il carico dei bulloni viene invece calcolato separatamente per ciascuna delle due condizioni: nella condizione di serraggio iniziale il carico dei bulloni è quello necessario ad ottenere una compressione della guarnizione pari ad y (MPa o psi) all’atto del serraggio, mentre nella condizione di esercizio il carico dei bulloni è quello necessario ad ottenere una compressione m volte superiore alla pressione interna. La sezione di bulloneria richiesta sarà pertanto il massimo valore determinato dall’applicazione separata di queste due diverse condizioni. Il metodo fornisce semplici correlazioni per tener conto della riduzione della superficie di guarnizione che rimane effettivamente in contatto con le sedi, assieme ad una tabella contenente i valori raccomandati dei fattori y ed m per tutti i possibili materiali e per tutti i possibili tipi di guarnizione (indipendentemente dalla rugosità delle sedi e dallo stato fisico del fluido contenuto).

Inoltre, vengono previsti valori molto elevati per i coefficienti di sicurezza sia per il calcolo dei bulloni che per quello delle flange: non è pertanto necessaria alcuna considerazione per tener conto di possibili scarti (positivi o negativi) tra carico teorico e carico effettivo dovuti al metodo di serraggio adoperato. I valori dei carichi sui bulloni risultanti da un calcolo Taylor Forge non devono pertanto essere considerati come i carichi effettivi da usare per il serraggio dell’accoppiamento, ma solo come semplici valori convenzionali di riferimento da usare ai soli fini del calcolo, privi pertanto di valore pratico per gli operatori addetti al serraggio.

Ricordo come ho scoperto per la prima volta questa discrepanza, 45 anni fa, quando lavoravo nell’ufficio tecnico di un grande costruttore italiano di scambiatori di calore. Avevamo in dotazione quello che allora chiamavamo pomposamente “computer da tavolo”, ma che in effetti non era altro che una calcolatrice programmabile a mezzo di schedine magnetiche, e il cui prodotto erano lunghe strisce di carta contenenti soltanto numeri, per la cui interpretazione era necessario incollare le strisce su appositi moduli prestampati contenenti i simboli delle grandezze a cui i numeri si riferivano. Ero molto orgoglioso dei programmi di calcolo che riuscivo a preparare con quel rudimentale strumento: in particolare, ero molto orgoglioso del programma di calcolo delle flange in accordo al codice americano ASME VIII div.1 (il primo importante codice di calcolo a recepire il metodo Taylor Forge). Un bel giorno, su una grossa commessa di scambiatori di calore da dimensionare secondo quel codice, ci arrivò dal cliente una richiesta particolare: dovevamo indicare sui disegni costruttivi i valori delle coppie di serraggio da usare per stringere le flange, sia in officina che in cantiere. Non era una richiesta molto usuale, pertanto il direttore di produzione pensò bene di girarla a noi dell’ufficio tecnico. Bene, sul momento non mi sembrò affatto una cosa difficile: mi limitai a prendere i valori dei carichi dati dal mio programma, a fare qualche ragionevole assunzione onde convertirli in momenti torcenti (cercando di essere alquanto pessimista riguardo ai valori dei coefficienti di attrito, e moltiplicando poi tutto per il rapporto tra pressione di prova idrostatica e pressione di progetto), quindi feci mettere sui disegni costruttivi i valori delle coppie di serraggio così ottenuti e li mandai in officina.

Ricordo ancora la telefonata che ricevetti dall’officina quando, al termine della costruzione, gli scambiatori furono messi in pressione per la prova idrostatica. Come al solito, la gente che lavora in officina non ha una buona opinione sui progettisti che lavorano in ufficio tecnico (generalmente considerati una sottospecie di matematici, privi di qualunque esperienza pratica); ebbene, dal tono di quella telefonata compresi chiaramente che le mie coppie di serraggio erano state un potente contributo al rafforzamento di quell’opinione. Il contenuto di quella telefonata era infatti più o meno il seguente: “Per favore, vieni giù a vedere”  (non sono sicuro se all’inizio della frase ci fosse o no il “per favore”, ma il tono del resto della frase non era tale da ammettere una replica). Bene, quando arrivai in officina il motivo di quella telefonata mi apparve subito evidente: il pavimento dell’officina era infatti ricoperto di pozzanghere, a causa dell’acqua che scolava sul pavimento da tutte le connessioni flangiate dei 10 o 12 scambiatori sottoposti alle rispettive pressioni di prova. Era perciò abbastanza chiaro che i miei valori delle coppie di serraggio, scrupolosamente applicati con chiave dinamometrica, erano stati assolutamente insufficienti a garantire la tenuta delle guarnizioni. Dopo una breve discussione,  decidemmo di stringere le flange con la normale attrezzatura usata a questo scopo (una chiave pneumatica a impatto, sostanzialmente la stessa che si usa nelle officine dei gommisti), misurando poi con la chiave dinamometrica i valori effettivi della coppia, da riportare poi sui disegni costruttivi. Devo confessare che fui abbastanza spaventato nel constatare che i valori delle coppie di serraggio misurati in questo modo erano 2 o 3 volte superiori a quelli calcolati dal mio efficientissimo programma: in ogni caso mi consolava moltissimo il fatto che quei valori erano comunque quelli usati nella nostra officina per serrare le flange, e che mai sino ad allora si erano verificate, negli apparecchi di nostra produzione,  esplosioni di flange causate da improvvisi cedimenti dei bulloni. Ma cosa sarebbe avvenuto se il nostro cliente fosse venuto a chiederci una giustificazione di calcolo relativa ai valori di coppia da noi indicati sui disegni? Bene, questo era comunque un rischio inevitabile. Alla fine tutti gli scambiatori superarono brillantemente la prova idraulica, e nessuno venne a chiederci nulla. Per quanto ne so io, quegli apparecchi potrebbero essere tuttora in esercizio in qualche sperduta raffineria di petrolio del Medio Oriente.

Tornando poi a rivedere i miei calcoli, mi resi conto che la effettiva sollecitazione di trazione sui bulloni indotta dai valori di coppia usati per il loro serraggio era intorno ai 350 MPa, contro un valore teorico della sollecitazione ammissibile imposta dal Codice di poco superiore ai 172 MPa. Bene, se consideriamo che il limite elastico di quei bulloni era superiore ai 700 MPa, con un carico di rottura di circa 860 MPa, era comunque chiaro che anche con una sollecitazione uguale a circa il doppio del valore ammesso dal Codice i bulloni non correvano alcun rischio. E del resto una simile considerazione si può fare anche per ciò che riguarda le sollecitazioni sulla flangia: infatti tali sollecitazioni sono direttamente proporzionali al carico dei bulloni, per cui la sollecitazione principale sull’anello della flangia (quella circonferenziale) è anch’essa superiore a quella calcolata. Tuttavia per questa sollecitazione (secondo le regole della moderna analisi elastica, sicuramente sconosciuta ai tempi in cui il metodo fu ideato) è una primaria di flessione, e andrebbe pertanto confrontata con 1,5 volte la sollecitazione ammissibile; nel metodo Taylor Forge essa viene invece confrontata con la sollecitazione ammissibile, e pertanto la flangia dimensionata su tale base è sicuramente in grado di sopportare carichi maggiori di quelli teorici.

Più di recente, una pubblicazione dell’ASME (PCC-1, ultima edizione nel 2013) ha ufficialmente riconosciuto che nel serraggio di un giunto flangiato le sollecitazioni sui bulloni (e di conseguenza anche quelle sulla flangia) raggiungono valori decisamente più elevati di quelli calcolati col metodo Taylor Forge.

Da tutte le considerazioni sopra menzionate risulta chiaro che il metodo Taylor Forge, prescritto ancora da tutti i più importanti codici di calcolo di apparecchi a pressione (ASME VIII divisione 1 e 2, CODAP, PD 5500, ISPESL VSR, EN 13445.3 capitolo 11), pur con tutte le sue approssimazioni e limitazioni, dà luogo ad accoppiamenti flangiati ragionevolmente sicuri, benché i dettagli del calcolo siano da considerare una pura e semplice convenzione. Del resto questa situazione è particolarmente apprezzata dagli utenti: infatti il metodo non prescrive alcun valore massimo per il carico da applicare ai bulloni, e pertanto non esistono limiti al carico applicabile in esercizio in occasione di eventuali perdite: e l’esperienza dimostra che il modo migliore di fermare una perdita senza fermare tutto l’impianto, al solo scopo di cambiare la guarnizione o di ripassare le sedi con una lavorazione meccanica, è quello di serrare ulteriormente i bulloni, a costo di portarli al limite dello snervamento. Chiunque abbia lavorato in una raffineria di petrolio o in un altro impianto chimico o petrolchimico che operi in servizio continuo sa benissimo che tali impianti, che hanno una produzione giornaliera valutabile in milioni di Euro, richiedono lunghi periodi di tempo sia per fermarli che per farli ripartire, con conseguente perdita di produzione: il loro normale periodo di servizio ininterrotto è di 3 anni, terminati i quali vengono concentrati in un solo mese di fermata tutti i possibili lavori di manutenzione e riparazione (ivi compresa la riparazione di possibili perdite dalle guarnizioni dei giunti flangiati). Un direttore di stabilimento che decida di fermare un impianto del genere prima del periodo programmato, causando in tal modo alla sua azienda  una perdita di parecchi milioni di Euro, deve avere delle ragioni veramente indiscutibili per giustificare una simile decisione, se vuol essere sicuro di ritrovare il suo posto di lavoro alla ripartenza dell’impianto. Pertanto, in caso di problemi, egli adotterà tutte le possibili misure alternative ad un eventuale arresto dell’impianto. Potete quindi star certi che andargli a dire che le flange dei suoi scambiatori possono essere strette solo fino a un certo valore di coppia e solo con uno specifico dispositivo non lo renderà  particolarmente felice.

Alla luce di quanto detto finora, è facilmente comprensibile il motivo per cui le tabelle delle caratteristiche di guarnizione esposte nelle differenti versioni del metodo Taylor Forge sono sostanzialmente identiche, a parte qualche minima correzione o approssimazione dovuta alla conversione eventuale delle unità di misura: in altri termini, tutti sanno che i valori di quelle tabelle sono eccessivamente bassi, che non tengono alcun conto né delle differenze tra fluidi allo stato liquido e fluidi allo stato gassoso né dell’influenza della rugosità delle superfici di contatto e così via; ciò nonostante, tutti sanno che usando questi valori nel contesto generale del metodo per la verifica sia dei bulloni che delle flange, i giunti flangiati che ne risultano sono ragionevolmente sicuri, e possono essere tranquillamente serrati sino a che non si verifichino evidenti deformazioni. Anche quando, qualche anno fa, le legislazioni di alcuni paesi hanno messo al bando le guarnizioni di amianto, nessuno si è preoccupato di compiere studi o ricerche particolari per la determinazione delle caratteristiche delle guarnizioni costruite con i materiali alternativi proposti in sostituzione: si è semplicemente provveduto a cancellare il termine “amianto”, sostituendolo con termini del tipo “fibra minerale” o “fibra vegetale”, ma lasciando invariati i valori dei fattori y ed m usati in precedenza per l’amianto, benché le caratteristiche di questi materiali siano comunque ben diverse da quelle dell’amianto.

Ciò non vuol dire che i progettisti di apparecchi a pressione fossero totalmente soddisfatti del metodo Taylor Forge: dopo la seconda guerra mondiale un nuovo metodo fu sviluppato in Germania dall’ente di standardizzazione tedesco, noto pertanto come “metodo DIN”, recepito tuttora dal codice di costruzione tedesco AD 2000. Sebbene il metodo DIN sia meno approssimativo del Taylor Forge per ciò che riguarda le caratteristiche di guarnizione (coefficienti più alti e comunque diversi per fluidi allo stato liquido e fluidi allo stato gassoso, che inglobano al loro interno anche la larghezza effettiva di guarnizione, e di conseguenza carichi sui bulloni più elevati), anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una semplice convenzione: difatti, come nel Taylor Forge, vengono calcolati separatamente i carichi necessari al serraggio guarnizione e quelli necessari per ottenere la tenuta nelle fasi di esercizio e di prova, senza cercare di stabilire una relazione tra di essi. Inoltre i pesi delle flange ottenuti applicando il metodo DIN sono in molti casi sensibilmente inferiori a quelli ottenuti col metodo Taylor Forge: ciò vuol dire che le flange DIN non hanno la stessa capacità delle flange Taylor Forge di resistere ad una eccessiva stretta dei bulloni. Per tale ragione le specifiche di alcune società di ingegneria tedesche, in caso di progetto secondo AD 2000, prevedono prescrizioni aggiuntive per il calcolo delle flange (ad esempio, sollecitazioni ammissibili ridotte) in modo da aumentarne la resistenza a eventuali sovraccarichi dei bulloni.

Più recentemente, un metodo del tutto diverso è stato studiato nel comitato tecnico TC74 (Flange) del CEN: il metodo è stato esposto per la prima volta nella norma EN 1591.1:2001, e quindi trasferito, con poche modifiche, anche nella norma europea per il calcolo di apparecchi a pressione non soggetti alla fiamma (EN 13445.3 – Annex G), sebbene soltanto come alternativa al classico metodo Taylor Forge,  che è alla base del capitolo 11 della stessa norma. Nel contempo, sia in Europa che negli USA venivano portati a termine importanti progetti di ricerca mirati ad una migliore comprensione dell’effettivo comportamento delle guarnizioni (ROTT = “Room Temperature Tightness Test” negli USA, PERL = “Pressure Equipment Reduction of Leakage Rate” in Europa). Infatti, onde stabilire una correlazione tra il carico dei bulloni necessario ad assicurare l’assetto guarnizione all’atto dell’assemblaggio del giunto e quello esistente invece nelle successive fasi di prova idrostatica e di esercizio, i due tradizionali fattori y ed m non sono assolutamente sufficienti: è pertanto necessario determinare le caratteristiche elastoplastiche della guarnizione, vale a dire la correlazione esistente tra la compressione della guarnizione e la riduzione del suo spessore per effetto della suddetta compressione. Da notare che questa correlazione non può rimanere invariata tra il primo serraggio della guarnizione e le successive fasi di scarico e nuovo serraggio; da notare inoltre che molte guarnizioni non metalliche si trovano nel campo dello scorrimento viscoso già a temperatura ambiente, il che causa un rilassamento del carico di serraggio durante l’esercizio. Tutte le caratteristiche aggiuntive atte a definire il comportamento reale della guarnizione sotto carico sono state definite nella norma EN 1591 parte 1 Edizione 2001, mentre nella EN 1591 parte 2 venivano dati i valori raccomandati di tali caratteristiche per I principali tipi di guarnizione. Con l’uso di questi valori è quindi possibile definire le effettive deformazioni dei vari componenti di un accoppiamento composto da due flange (eventualmente diverse l’una dall’altra), una serie di bulloni ed una guarnizione: a cominciare dalla determinazione, attraverso una procedura iterativa per successive approssimazioni, della effettiva superficie di guarnizione in contatto con le sedi delle flange e quindi sottoposta al carico dei bulloni: tale superficie è infatti inferiore alla superficie geometrica a causa della rotazione sotto carico delle due flange, che fa sì che le due facce delle stesse non restino parallele tra di loro. Il nuovo metodo tiene inoltre conto della tolleranza del dispositivo di serraggio adoperato per la stretta iniziale del giunto. Di conseguenza tutta la procedura di calcolo sarà valida solo per un ben determinato valore del carico (o della coppia di serraggio) e solo se tale carico viene applicato con un ben determinato dispositivo.

Purtroppo uno dei problemi che l’EN 1591.1 e l’EN 1591.2 edizione 2001 non hanno risolto è la differenza tra i parametri di guarnizione da usare per i liquidi e quelli da usare per i fluidi gassosi: nell’EN 1591.2:2001 l’unico riferimento ad una perdita ammissibile era l’affermazione che i valori di m esposti nelle tabelle erano tali da garantire una perdita di azoto di 1 ml/min da una guarnizione avente un diametro esterno di 90 mm e un diametro interno di 50 mm soggetta ad una pressione interna di 40 bar: il che ovviamente non è di molto aiuto per definire una regola generale che permetta il calcolo della portata di fuga in presenza di altri fluidi, con altri valori di pressione e con dimensioni di guarnizione differenti. Tutte le tabelle erano comunque precedute dall’avviso che i fornitori delle guarnizioni avrebbero dovuto comunque garantire il rispetto dei valori riportati.

Un ulteriore affinamento del uovo metodo EN è contento nella nuova edizione 2013 della EN 1591.1, mentre la EN 1591.2 veniva anch’essa revisionata nel 2008 per tener conto dei risultati del progetto PERL e di un ulteriore standard preparato dallo stesso TC74 (EN 13555: “Flange e guarnizioni – Parametri di guarnizione e procedure di prova relative alle norme di progetto di flange circolari con guarnizione interna”). Con la EN 1591.1:2013 è ora possibile, sempre che si abbia la disponibilità di tutte le caratteristiche di guarnizione richieste, di fare la verifica di un giunto flangiato contenente un fluido gassoso sulla base di una “Classe di tenuta”, cioè sulla base di una perdita ammissibile (normalmente espressa in mg/s/m, vale a dire in mg/s per metro di perimetro di guarnizione).

Da notare che le perdite ammissibili (e quindi le classi di tenuta) sono convenzionalmente riferite alla portata di un determinato fluido che fuoriesce da una determinata guarnizione ad una pressione e ad una temperatura prestabilite; pertanto, per determinare la portata che fuoriesce dalla guarnizione di un accoppiamento flangiato qualsiasi calcolato per una certa classe di tenuta, la nuova norma EN 1591.1:2013 fornisce delle apposite correlazioni.

Purtroppo l’edizione 2008 della EN 1591.2 contiene i dati delle guarnizioni per varie classi di tenuta solo per i tipi e i materiali delle guarnizioni di marca considerati nello sviluppo del progetto PERL; pertanto l’unico modo di applicare il più avanzato metodo esistente negli standard europei per il calcolo di accoppiamenti flangiati, per cui sia stata prescritta una determinata classe di tenuta, è quello di usare i materiali e i tipi di guarnizione previsti nella EN 1591.2:2008. Da notare comunque che i principali fabbricanti europei (e non solo) di guarnizioni sono rappresentati nel CEN TC74, e sono pertanto in grado di fornire i dati richiesti per il calcolo dalla EN 1591.1:2013. Esistono tuttavia delle banche dati a livello europeo, i cui indirizzi internet sono dati dalla stessa EN 1591.2: www.europeansealing.com e www.gasketdata.org; un’ulteriore alternativa è quella di determinare le caratteristiche effettuando prove pratiche sulle guarnizioni secondo quanto prescritto da EN 13555. Purtroppo questa situazione non è l’ideale per un progettista di apparecchi a pressione, che deve poter trovare i dati necessari ai suoi calcoli nel minor tempo possibile, soprattutto per il caso cui si stia lavorando per la presentazione di un’offerta con data di scadenza indifferibile; egli deve inoltre  essere ragionevolmente certo che le sue scelte vengano poi rispettate all’atto dell’acquisizione della commessa, altrimenti si correrebbe il rischio che la scelta di un diverso fornitore delle guarnizioni comporti un maggior costo dell’apparecchio rispetto al preventivo. Da notare comunque che questo problema riguarda solo il caso di tenute per fluidi allo stato gassoso per i quali sia richiesta una specifica classe di tenuta: per fluidi allo stato liquido sono infatti previste in EN 1591.2 delle caratteristiche standard indipendenti dal fabbricante (ma che dovrebbero tuttavia essere confermate da quest’ultimo).

La necessità di riportare nello standard caratteristiche in qualche modo indipendenti dal particolare fabbricante è stata riconosciuta sia dal TC74 (Flange) che dal TC54 (Apparecchi a pressione non soggetti alla fiamma). Questo è il motivo per cui in ambito TC54 si è deciso di mantenere invariata l’attuale formulazione dell’Annex G, senza adeguarlo all’EN 1591.1:2013; tuttavia nella prossima edizione della EN 13445.3 l’Annex G conterrà uno specifico richiamo all’EN 1591.1:2013 per i casi in cui sia richiesta una specifica perdita ammissibile e siano disponibili i dati della guarnizione necessari per il calcolo. Questa situazione non potrà logicamente cambiare sino a che l’EN 1591.2 non verrà modificata, ma ciò sarà possibile solo quando i delegati dei fabbricanti di guarnizioni che lavorano per il TC74 si renderanno conto che, per quanto sia necessaria una loro specifica garanzia sulle caratteristiche di guarnizione da usare nei calcoli (com’è d’altra parte richiesto dalla Direttiva PED per tutti gli altri materiali), il progettista ha bisogno di fare riferimento a tabelle standard che diano una ragionevole certezza ai calcoli da lui eseguiti.

La mancanza di uno standard contenente caratteristiche di guarnizione generalmente valide qualunque sia il fabbricante non è l’unico ostacolo alla generalizzazione de nuovo metodo di calcolo, dato che, come spiegato più sopra, gli utenti sono riluttanti ad accettare un metodo di calcolo che limiti la loro libertà di serrare un giunto flangiato al di là di un determinato valore prestabilito.

Tuttavia c’è da aspettarsi che i limiti sempre più restrittivi posti ai quantitativi di sostanze inquinanti presenti nell’atmosfera dalle attuali direttive europee (2008/50/EC “Direttiva sulla qualità dell’aria ambiente in Europa” e successive modifiche) obbligheranno gli utenti a considerare metodi di calcolo che garantiscano un miglior controllo delle cosiddette “fugitive emissions”, vale a dire metodi che prevedano la possibilità di limitare le perdite attraverso le guarnizioni di tutte le apparecchiature di processo (recipienti, scambiatori, pompe, valvole, strumentazione). Sarà inoltre necessario anche un maggior controllo su tutte le procedure di serraggio degli accoppiamenti flangiati, con la preparazione di piani di intervento da utilizzare per il caso di perdite di fluidi pericolosi.

A questo scopo, nell’ottica di una protezione globale della qualità dell’aria in tutto il pianeta, sarebbe utile un maggiore scambio di informazioni non solo tra i governi, ma anche tra gli enti di standardizzazione di tutti i paesi del mondo.